Ciclismo
Tour de France 2017 – Il poker di Chris Froome: non attacca in salita, un motorino a crono. Nell’albo d’oro con i grandi
Per la quarta volta negli ultimi cinque anni Chris Froome si appresta ad affrontare il trasferimento verso Parigi, sede storica dell’ultima tappa del Tour de France, in maglia gialla. Domani sera il britannico entrerà ufficialmente nel ristretto club di coloro che anni vinto per più di tre volte la Grande Boucle, salendo a quota 4 e portandosi ad una sola lunghezza dai recordman di tutti i tempi: Bernard Hinault, Eddy Merckx, Jacques Anquetil e Miguel Indurain, staccando Lemond, Bobet e Thys in questa speciale classifica.
E si sprechino, allora, i confronti, i paragoni. Ha senso? Solo fino ad un certo punto: i numeri sottolineano la grandezza di un corridore che pur in un’epoca iperspecializzata è riuscito ad ottenere risultati incredibili, elevandosi sopra la media anche dei grandi corridori da corse a tappe. È la vittoria anche del Team Sky (sempre in maglia gialla, a parte le due tappe che si è spostata sulle spalle di Aru, con Thomas e lo stesso Froomey), arrivato nel mondo del ciclismo proprio per vincere il Tour, coronando questo obiettivo nel 2012 con Bradley Wiggins, vincendolo poi per cinque volte in sei edizioni, con l’unica eccezione di Vincenzo Nibali del 2014. Ogni epoca ciclistica ha avuto dinamiche differenti e ambienti diversi, troppo diversi per portarle ad un confronto tra loro che si fondi su solide basi.
Si può parlare di era Froome? Molto probabilmente sì. Perché Chris è forte, ma non invincibile, riuscendo a gestire ogni situazione di corsa come se lo fosse. Possiamo parlare di era Froome per le 38 vittorie, presto 39 collezionate dal 2011 ad oggi, quasi tutte in corse di livello world Tour. Possiamo parlare di un’era Froome che sembra destinata a concludersi?
Sì, possiamo dire anche questo. Nel 2017, il keniano bianco non ha ancora avuto l’opportunità di alzare le braccia al cielo e lo farà per la prima volta domani, sui Campi Elisi. La sua prima vittoria stagionale corrisponderà con il successo al Tour, obiettivo per cui lavora e per cui si prepara in maniera meticolosa. Negli ultimi 23 giorni abbiamo visto un Froome calcolatore, forse poco spettacolare ma scientificamente vincente. Sin dalla prima cronometro ha dato l’impressione di sapere in ogni momento quello che stava facendo, correndo con un’attenzione maniacale a se stesso e a tutte le situazioni di corsa, rimanendo davanti al gruppo a costo di sprecare più energie per evitare alcun tipo di problema.
Tirando le somme, però, il Tour de France l’ha vinto quasi esclusivamente a cronometro. Sia nella prova a tic-tac di Dusseldorf che in quella di oggi è stato nettamente il migliore degli uomini di classifica. Un vantaggio non eccessivo (erano meno di 40 i chilometri contro il tempo) che però gli hanno permesso di gestirsi nelle tappe di montagna, senza mai avere la necessità di muoversi e attaccare in prima persona. Freddo e calcolatore, maturo e concentrato.
Ora, per lui, restano due grandi obiettivi: completare la doppietta con la Vuelta a España (e ci proverà tra poco più di un mese, con Vincenzo Nibali tra gli altri a sfidarlo) e poi vincere il quinto Tour de France, per diventare il più vincente di sempre (i record di Armstrong sono cancellati). Sempre meno giovane e con meno brillantezza, già nelle ultime due stagioni in calo, il 2018 potrebbe rappresentare la fine di quella che abbiamo chiamato era Froome, con il britannico che difficilmente si ritroverà dominante, con gli avversari che, ora sì, ne hanno scoperto le prime debolezze, utili quantomeno per trovare il coraggio di attaccare.
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gianluca.santo@oasport.it
Foto: © ASO/Pauline BALLET