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Gli azzurri e la sindrome del favorito
Tanti indizi fanno certamente una prova. Gli atleti italiani, fiorettiste a parte, non riescono a reggere la pressione dei favori del pronostico.
Sino ad ora le nostre ‘punte di diamante’ della vigilia hanno fallito senza attenuanti: Federica Pellegrini si è smarrita tra errori del passato, una condizione non ottimale ed un rigetto verso il mondo del nuoto da cui vuole prendersi una pausa (temporanea?); Fabio Scozzoli, con la scomparsa del compianto Dale Oen, era diventato il favorito dei 100 rana, ma, dopo aver disputato la peggior gara dell’ultimo triennio, è giunto solo settimo; lo stesso Niccolò Campriani era il grandissimo favorito della vigilia nella carabina 10 metri ed era ormai ad un passo dall’agguantare la medaglia d’oro, prima che l’emozione prendesse il sopravvento e lo relegasse in piazza d’onore; infine il fioretto maschile, un “Dream Team” che ha dominato in lungo e in largo nell’ultimo quadriennio e che si è sciolto proprio nel momento più importante, l’unico da non fallire.
Lo scorso anno i fiorettisti avevano realizzato una tripletta ai Mondiali di Catania vinti da Andrea Cassarà. A Londra, invece, non è arrivato neppure un podio. Appare chiaro, dunque, come le Olimpiadi rappresentino una competizione completamente a sé, neppure paragonabile a tutti gli altri grandi eventi planetari.
I Giochi si svolgono ogni quattro anni e sono l’unica competizione che realmente, se vinta, consegna all’immortalità sportiva. Questo è il primo ragionamento che affiora nella mente dei “favoriti”, perché pensieri di questo calibro di certo non cullano i sogni dei cosiddetti out-siders. Quando nella testa si è insinuata tale consapevolezza, si è immediatamente più deboli. Le certezze lasciano il posto all’ansia, l’evento tanto atteso diventa quasi un incubo di cui ci si vuole liberare al più presto e del quale, paradossalmente, non si vede l’ora che arrivi la fine. Nello sport senza la testa non si vince.
I nostri atleti più titolati, dunque, soffrono la sindrome del favorito olimpico, schiacciati dalla responsabilità e dall’attesa che media e addetti ai lavori creano nei loro confronti. Non è un caso se a Pechino 2008 almeno 5 ori giunsero in maniera piuttosto inaspettata, così come non preventivabile era l’oro degli arcieri in questo avvio di Olimpiade.
Individuato il problema, non appare semplice trovare delle soluzioni per risolverlo. Psicologi e mental coach possono di sicuro aiutare, ma fino ad un certo punto. Il vero fuoriclasse forse è proprio quello che riesce a primeggiare quando è obbligato a farlo. Per fare qualche esempio, lo sono (o lo erano) Valentina Vezzali, Stefania Belmondo, Armin Zoeggeler, Alberto Tomba, Juri Chechi ed Antonio Rossi. Se non si riescono a gestire emozioni ed aspettative, allora è giusto ridimensionare il giudizio nei confronti di alcuni atleti.
federico.militello@olimpiazzurra.com
Federico Militello
31 Luglio 2012 at 22:53
Assolutamente sì, il fuoriclasse si esalta nei momenti più importanti, la paura appartiene ad altri.
Chosenone
31 Luglio 2012 at 22:22
*Mi sono espresso male: intendevo che è questo ciò che distingue il talento dal campione!
Chosenone
31 Luglio 2012 at 22:21
Quanta amarezza per i risultati di oggi..è proprio vero, il fuoriclasse è quello che dà il massimo e tira fuori la classe nel momento più importante! E’ quello che distingue il talento dal campione!