Sci Alpino
Storia delle Olimpiadi Invernali: Deborah Compagnoni, una campionessa di determinazione, più forte degli infortuni
L’urlo chiaro, lancinante, capace di entrare nelle orecchie di chi ascoltava e fare davvero male durante lo slalom gigante di Albertville 1992: è un momento che ha segnato la carriera di Deborah Compagnoni. Non solo perché, in quella edizione in cui aveva già vinto il supergigante sulla francese Carole Merle e sulla tedesca Katja Seizinger era in piena condizione psicofisica per piazzare una doppietta o tripletta e sfondare il muro della storia con una prestazione monstre, ma perché il passaggio continuo fra grandi soddisfazioni e tragici dolori è il leitmotiv di tutto quello che la regina dello sci azzurro è riuscita a realizzare durante i suoi anni sulle nevi di tutto il mondo.
Quelle ginocchia erano davvero di cristallo, il che vuol dire cesellate e delicate nello scendere lungo i pendii e perfetti nel trovare traiettorie meravigliose e ineguagliabili, ma allo stesso tempo troppo fragili per sopportare il peso agonistico di un’intera stagione.
Le sole stagioni senza gravi infortuni per Deborah sono state quelle del 1993, 1994, 1997 e 1998. Pochissime per poter pensare di puntare alla vittoria della Coppa del mondo generale. Ed è per questo che la nostra campionessa più brillante degli anni ’90 cercava di preparare al massimo i grandi eventi internazionali. Se infatti alle sue prime Olimpiadi aveva vinto il superG, alle seconde, Lillehammer 1994, scende in pista con grandissima voglia di riprendersi quello che due anni prima l’infortunio al ginocchio le aveva negato: l’oro nel gigante. Già nella prima manche restano poche speranze alle altre: prima dando quasi un secondo alle altre, e nella seconda non frena. Vince con 1’’22 sulla tedesca Martina Ertl-Renz e addirittura due secondi sulla svizzera Vreni Schneider. Una superiorità del genere non si era mai vista in una gara olimpica di questo valore da parte di una atleta che per colpa degli infortuni non poteva tirare mai davvero fuori tutto il suo potenziale.
Al suo secondo Mondiale, Sierra Nevada 1996 vinse ancora una volta lo Slalom Gigante e bissò l’oro sulle nevi casalinghe del Sestriere nel 1997. Quell’anno Deborah riuscì a non avere nemmeno un infortunio e fece faville. Vinse la Coppa del mondo di specialità (gigante) e dimostrò la sua superiorità sulle altre sciatrici durante la gara del 21 novembre 1997 a Park City, quando la seconda classificata, Alexandra Meissnitzer fu distanziata di 3’’41.
Per nostra fortuna quello stato di grazia la accompagnò anche nella stagione successiva, quella olimpica. A Nagano 1998 decise di saltare il supergigante per non sforzare troppo il suo fisico e puntare solo sulle discipline tecniche. Il 19 febbraio si disputò lo slalom speciale. Non era la gara della Compagnoni ma decise di dare il 100%. Nella prima manche si classificò come prima davanti addirittura al riferimento numero uno del periodo, Hilde Gerg. La grande campionessa tedesca però riuscì a recuperare nella seconda e a vincere l’oro ai danni della Compagnoni per soli 6 centesimi. Ma la gara in cui tutti aspettavano Deborah era quella del giorno successivo.
20 febbraio 1998, sulla Shiga Kogen la campionessa nativa di Bormio sparò una delle sue micidiali prime manche. Si classificò come prima in 1:18:94, la seconda era la francese Sophie Lefranc-Duvillard a 96 centesimi, già un abisso. Le altre grandi favorite, Meissnitzer, Seizinger Zurbriggen e Pernilla Wiberg erano già oltre il secondo. Mentre tutti pensavano che nella seconda manche avrebbe soltanto gestito, spinse di nuovo al massimo, finendo ancora una volta con il primo tempo di manche in 1:31:64, dando 1’’80 all’austriaca Meissnitzer (seconda) e 2’’02 alla teutonica Seizinger (terza).
Fu quell’oro “giapponese” a decretare la fine della carriera della fuoriclasse nostrana a soli 28 anni. Disputò infatti anche la stagione successiva ma fu più una passerella che una vera e propria corsa verso gli obiettivi stagionali. Deborah è stata la prima atleta ad aver vinto una medaglia d’oro olimpica in tre diverse edizioni nella storia. Tutto questo con le ginocchia martoriate e decine di altre malanni. Se questo non vuol dire essere un fuoriclasse…
Di Jvan Sica