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Show del Giaguaro, il Dittatore ritorna, la Zarina cade

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Fari puntati sui 400m. Il giro di pista. La gara completa per eccellenza, il mix giusto tra velocità e resistenza. Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi non c’erano statunitensi ai blocchi di partenza. Tutta colpa di LaShawn Merritt, campione uscente, che non doveva esserci perché risultato positivo a uno steroide nel 2010, poi perché si era infortunato a Montercarlo, poi presentatosi alle batterie e uscito dopo pochi metri per un infortunio muscolare. Poco importa perché a dare spettacolo ci pensa un ragazzino di neanche vent’anni: Kirani James. Un personaggio sincero, onesto, senza fronzoli che ha chiesto a Pistorius il numero di telefono definendolo il suo idolo. Il campione che gli chiede di donargli il pettorale sarà l’immagine del social spo(r)t del CIO. Un favoloso classe ’92 dalla lontana Isola di Grenada, nei caraibi. 150mila persone che possono festeggiare un bellissimo oro. Il primo per il Paese. Una corsa eccezionale, da campione consumato, pulita, leggera con un dominio nel dritto finale che non ha lasciato spazio agli avversari. Da vero campione mondiale qual è. Da senior navigato, senza dimenticare che è stato il più giovane a vincere un’iride nell’atletica. Uno stupendo 43.94 corso dal Giaguaro che scende per la prima volta sotto il sempre fatidico muro dei 44’’ (decimo uomo a farlo). La nona prestazione di sempre! Scenderà ancora notevolmente, lo aspettiamo al varco. Certo il record mondiale a 43.18 è così lontano… Potrebbe esserci un duello da sogno con Usain Bolt? Chi lo sa… Al secondo posto un suo coetaneo. Incredibile. La carta d’identità diceva competizione juniores, le prestazioni parlavano di ben altro. Argento per Luguelin Santos (Repubblica Dominicana, 44.46), che ha fatto tre turni pazzeschi e ha continuato ad abbassare il proprio personale. Terzo Gordon Lalonde (Trinidad & Tobago, 44.52), mentre deludono i gemelli Borlèe, unici europei al via e speranza per il Belgio, sfiancati dopo delle semifinali di alto livello (Kevin quinto in 44.81, Jonathan sesto in 44.83).

 

Nei 400m ostacoli si rivede un mito. Una leggenda per tutti gli amanti dell’atletica leggera. Un uomo che ha segnato un’epoca. Sulla cresta dell’onda da più di dieci. A trentaquattro primavere suonate Felix Sanchez batte ancora un colpo e non smette di stupire. La sua amata Repubblica Dominicana, la Patria dei suoi genitori che poi lo hanno cresciuto a Los Angeles, lo aveva incoronato e pluripremiato dopo il favoloso successo di Atene 2004, il primo oro olimpico per la piccola isola caraibica. Oggi dopo otto anni, undici stagioni dal il titolo mondiale di Edmonton, quasi tre lustri dalle le mitiche battaglie col nostro Fabrizio Mori che dominava la specialità a cavallo dei due millenni, il Dittatore torna più forte di prima e si mette al collo un oro quasi insperato. Entra definitivamente negli annali della specialità insieme all’americano Angelo Taylor, vincitore a Sidney e a Pechino, al via anche oggi (quinto in 48.25). Lo fa con una prestazione delle sue, una lezione di tecnica del salto ad ostacoli, una corsa spettacolare, una gestione ideale delle forze che l’ha portato fuori ai 150 metri dal traguardo quando bisogna raschiare il barile per chiudere in testa con un buon 47.63 davanti a Michael Tinsley (Stati Uniti, 47.91 e personal best) e al deludente portoricano Javier Culson (ha tirato giù la terzultima barriera, bronzo in 48.10).

 

Attesissima era la Zarina. L’icona femminile dell’atletica leggera. Bella e brava. La campionessa di Volgograd. La Divina. La dominatrice del salto con l’asta nell’ultimo decennio. Colei che ha segnato un’epoca con record mondiali. Semplicemente Yelena Isinbaeva. Da due stagioni notevolmente sotto tono e in fase calante, con acciacchi e parecchi errori anche a misure irrisorie per lei, era sbarcata a Londra per provare il tutto per tutto e centrare un mitico tris dopo i trionfi di Pechino e Atene. Il turno di qualificazione aveva eliminato una grande avversaria, l’iridata brasiliana Fabiana. La Reginetta però non torna, cade e abdica il trono. Per sempre. A trent’anni sarà difficilissimo tornerà su grandi picchi.

Riesce sì a salire sul podio, ma solo per prendere un amaro bronzo. Sbaglia l’entrata a 4.55 come purtroppo ci ha ormai abituato. Poi supera 4.65 e 4.70 al primo tentativo ma lì finisce la sua gara perché sbaglia nettamente due 4.75 e il “o la va o la spacca” a 4.80. Duello allora tra Jennifer Suhr e Yarisley Silva. Stati Uniti contro Cuba. Un classico. Che risolve in parità con 4.75 alla seconda prova e tre nulli alla misura superiore. A spuntarla è però la ragazza a stelle e strisce grazie all’errore dell’avversaria a 4.45…

 

Valerie Adams non riesce ad entrare definitivamente nella storia del getto del peso. La neozelandese cercava di chiudere il cerchio magico che aveva aperto nel 2007. Lei, l’icona mondiale della disciplina. Dominatrice incontrastata. Colei che spezzava le ossa delle avversarie con la sua forza da aborigena, che le fulmina semplicemente con lo sguardo e che distruggeva le loro ambizioni con delle prestazioni oltre l’immaginabile. Dopo i tre titoli iridati consecutivi da Osaka a Daegu passando per Berlino, era venuta a Londra con la stazza da armadio per bissare il successo di Pechino. Niente da fare. Partita non di certo da superfavorita come è sempre stata nella sua carriera, oggi ha trovato di fronte una straordinaria Nadzeya Ostapchuk a cui si è dovuta inchinare. L’eterna seconda ha sfoderato una gara di spessore, sempre costante e lineare ben sopra la fettuccia degli ottimi 21 metri che ha avuto il suo apice col 21.36 del terzo tentativo. Non c’è stata competizione perché la Adams si è fermata distaccatissima a uno scarso (per lei) 20.70 (quattro anni fa trionfò con 20.56). Completa il podio la sorpresa russa Evegeniia Kolodko, che a soli ventidue anni piazza il personale di 20.48 all’ultima possibilità per scavalcare la cinese Gong Lijiao (20.22).

 

stefano.villa@olimpiazzurra.com

(foto IAAF)

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