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Pattinaggio artistico, Charlene Guignard e Marco Fabbri si preparano per le Olimpiadi: “Siamo maturati, ci piacerebbe entrare tra i primi dieci”

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ESCLUSIVA OASPORT – Charlene Guignard e Marco Fabbri sono pronti a vivere la loro seconda Olimpiade dopo il quattordicesimo posto di Sochi 2014. I pattinatori delle Fiamme Azzurre allenati presso l’IceLab di Bergamo da Barbara Fusar Poli (medaglia di bronzo a Salt Lake City nel 2002 in coppia con Maurizio Margaglio) hanno dimostrato in questo quadriennio Olimpico una crescita importante. Nella stagione in corso, oltre che trionfare nella prima parte della preparazione al Lombardia Trophy, si sono ben distinti sia nelle due tappe del circuito Grand Prix (chiuse entrambe in quinta posizione), sia nelle due competizioni internazionali Golden Spin di Zagabria e Shangai Trophy, concluse in seconda posizione in entrambe le occasioni. La coppia ha anche raggiunto un ottimo quinto posto agli scorsi Campionati Europei di Mosca, piazzandosi in quarta posizione in occasione della free dance.

 

Marco, tu e Charlene siete reduci da un ottimo Campionato Europeo chiuso in quinta posizione. Che sensazione vi ha lasciato la competizione continentale di Mosca?

Una sensazione molto positiva. Siamo molto contenti, non avevamo delle aspettative stratosferiche ma sapevamo che pattinando al nostro meglio il risultato più verosimile era appunto il quinto o il sesto posto. Da un lato siamo addirittura andati oltre le aspettative in questa competizione raggiungendo tranquillamente la quinta posizione senza lottare per la sesta con la coppia inglese. Siamo davvero molto soddisfatti e contenti. Questo risultato ci mette in una condizione mentale ottimale per PyeongChang“.

Rispetto alle Olimpiadi di Sochi 2014 siete cresciuti molto come coppia proponendo programmi sempre più articolati e complessi: come definireste il lavoro svolto in questo quadriennio olimpico?

Siamo cresciuti tantissimo oltre che sotto il punto di vista tecnico e interpretativo anche a livello di approccio alla costruzione dei programmi e all’allenamento quotidiano. Fino a Sochi in qualche modo eravamo dei semplici “esecutori”, nel senso che ci limitavamo a seguire le indicazioni dei nostri allenatori, limitando la nostra maturità a quello. I quattro anni prima di Sochi sono stati molto particolari per noi: io ero nuovo nella danza, avevo fatto solo qualche mese con una ragazza prima di iniziare con Charlene, lei invece pattinava con un ragazzo francese senza arrivare a dei grandi livelli ma partecipando comunque a due Campionati Del Mondo junior. Ci siamo ritrovati insieme, catapultati in una realtà nuova per entrambi, non sapevamo a che cosa saremmo andati incontro; abbiamo lavorato molto i primi anni, ritrovandoci nell’anno delle Olimpiadi in una situazione complicata in quanto Charlene ha ottenuto il passaporto all’ultimo momento, oltre questo aspetto c’era un’altra coppia italiana con cui ci giocavamo il posto. Il nostro obiettivo all’epoca era di portare a casa il risultato. Ma pensare solo e unicamente al risultato non ti permette di effettuare una vera e propria crescita personale. Dopo Sochi invece ci siamo ritrovati seconda coppia fissa in Italia quindi non dovevamo pensare più “all’orticello di casa”. Ci siamo domandati cosa servisse per arrivare ad alti livelli internazionali, abbiamo quindi iniziato a studiare la direzione che stava prendendo la danza, cercando di capire veramente quali fossero i nostri punti di forza; questo è il motivo per cui la tipologia dei programmi che abbiamo presentato in questo quadriennio sono molto diversi come stile di pattinaggio e come costruzione.

Arrivate a PyeongChang dunque totalmente rigenerati rispetto al 2014. Qual è il vostro obiettivo per questa Olimpiade?

“Non ti posso dire un obiettivo di risultato, non per scaramanzia perché siamo molto obiettivi specie nella danza che è un mondo abbastanza gerarchico, a meno che non ci siano dei fuoriclasse come Papadakis Cizeron che sono passati dal tredicesimo posto del mondiale del 2014 a giocarsi la medaglia d’oro in questa Olimpiade. Nella danza devi aspettare il tuo momento. Noi abbiamo fatto tutti questi anni sempre da seconda coppia. Anche in questa Olimpiade arriveremo così e non abbiamo chissà quali ambizioni di risultati, ci piacerebbe riuscire a rientrare tra i primi dieci, arrivare ad una competizione del genere in top 10 sarebbe davvero un risultato prestigioso. A noi comunque non va tanto di parlare di questo, noi vogliamo cercare di dimostrare che siamo arrivati ad essere una coppia di alto livello, in modo tale da potere entrare nel prossimo quadriennio nella lotta per le posizioni di vertice”.

A questo proposito c’è da dire che, probabilmente, nei prossimi anni diventerete la prima coppia italiana. Sentite il peso di questa responsabilità?

Se un giorno dovessimo arrivare ad essere la prima coppia saremmo felici di essere coloro che portano avanti il movimento della danza italiana, movimento che negli ultimi quindici anni sta veramente dando tanti risultati. L’Italia nella nostra specialità nonostante i pochi partecipanti conserva una grande tradizione. Essere la prima coppia dà tanta motivazioni; abbiamo fatto tanta esperienza, abbiamo combattuto tante battaglie, ci siamo fatto una bella corazza in questi anni e, nel caso in cui dovesse verificarsi questa opportunità, saremo pronti a prenderci questa responsabilità“.

Il vostro programma libero di quest’anno, pattinato sulle musiche de “Exogenesis Symphony Part III” dei Muse ha riscosso tanto successo tra pubblico e addetti ai lavori. Raccontaci le sue fasi di gestazione

“Abbiamo costruito il programma con la nostra allenatrice Barbara Fusar Poli per poi successivamente curare i dettagli coreografici con il nostro coreografo Corrado Giordani. Lui si occupa della parte superiore del corpo non essendo un insegnante tecnico di pattinaggio. Abbiamo scelto questa musica perché ci piaceva già tantissimo a prescindere da tutto. Dall’anno di “Schindler’s List”  abbiamo seguito uno stile cercando di esaltare la nostra pattinata energica ma allo stesso tempo morbida e fluida. Siamo stati rapiti dal contrasto che c’è tra la prima parte classicheggiante per poi finire con una sezione moderna quasi rockettara. Ci è piaciuto molto il fatto di partire morbidi per poi arrivare a questo bellissimo crescendo che successivamente si risiede nuovamente come se fosse una poesia”.

Come ogni fine ciclo Olimpico, si annunciano delle novità riguardanti il sistema di giudizio. Secondo te qual è, ad oggi, il limite più grande del sistema nella disciplina della danza?

“Questa è una domanda difficile in quanto si entra quasi in parametri soggettivi. Personalmente credo che quello che ancora non si è riusciti bene a fare con la danza con questo sistema di punteggio è trovare il giusto equilibrio tra la parte tecnica e la parte artistica. Siamo passati da una danza che incentrata sullo spettacolo senza particolari parti tecniche: dai sollevamenti alle sequenze di passi i programmi erano perlopiù incentrati sulla coreografia, interpretazione e parte artistica. Con il nuovo sistema di punteggio si è dovuto inserire qualcosa di codificabile quindi di conseguenza molta più parte tecnica, perdendo un po’ l’equilibrio tra i due aspetti. Di fatto la tecnica sovrasta troppo la parte artistica: dovendo ad esempio inserire tre sollevamenti i quali devono avere determinati requisiti ti portano via tanti secondi l’uno, stesso discorso per i sollevamenti comprese le rincorse e le sequenze di passi. Manca lo spazio per coreografia e interpretazione. Quasi peggio è il programma corto che è caratterizzato da un elemento dietro l’altro. Credo che cercare di bilanciare la parte tecnica con la parte coreografica potrebbe essere un buon inizio per migliorare il sistema”.

 





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