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Ciclismo

Storie di Tour – il dramma di Fabio Casartelli

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“Ha un fisico eccellente, e le doti giuste. Poi vince spesso. E non c’è miglior allenamento per un corridore che la vittoria.

Questa frase, pronunciata dallo storico CT azzurro Alfredo Martini pochi giorni dopo la vittoria olimpica sintetizza meglio di molte altre le caratteristiche di Fabio Casartelli.

Erede di una famiglia dove il ciclismo aveva sempre trovato spazio, dal nonno al padre Sergio, corridore dilettante di buon livello, nasce a Como il 16 agosto 1970. Non ci si deve dunque stupire, se a 9 anni il piccolo Fabio indossa già la sua prima divisa, quella della GS Alzatese Mobili Zappa, importante società sportiva del comasco. Ma sarà tra le colline della Brianza, i percorsi intorno al lago e le impegnative asperità delle valli circostanti, che crescerà umanamente e ciclisticamente, emergendo sin dalle primissime corse come un atleta dalle prospettive incoraggianti.
A fianco del ciclismo, Casartelli svolge con profitto i propri compiti di studente, sino a conseguire il diploma di perito elettrotecnico. La sua trafila nelle categorie giovanili prosegue comunque, tra un successo e l’altro, con le maglie di Puginatese, Breccia e Comense Banca Briantea,  nonostante alcuni fastidiosi problemi fisici, come la mononucleosi, che lo affligge da juniores, e la frattura della dodicesima vertebra dorsale dopo un incidente automobilistico.

Nel 1991 diventa dilettante e, in entrambe le stagioni trascorse nella categoria, viene diretto da Olivano Locatelli, un autentico ”guru” in quel mondo. Vince due edizioni consecutive della Montecarlo-Alassio, corsa dilettantesca che vanta nel suo albo d’oro campioni del calibro di Stephen Roche, Francesco Moser e Mario Cipollini , ma anche altre gare importanti come il GP Diano Marina e la Coppa Casale.
Il commissario tecnico della nazionale dilettanti Giosuè Zenoni osserva con attenzione le prestazioni del ragazzo di Albese con Cassano, decidendo di convocarlo per i Giochi della XXV Olimpiade di Barcellona, dove il ciclismo era ancora riservato ai non professionisti.
Giosuè Zenoni, bergamasco di Villa d’Almè, seleziona il trio per la prova in linea, dove schiererà Mirco Gualdi, già Campione del Mondo tra i dilettanti nel 1990 in Giappone, Davide Rebellin, emerso sin da giovane come un vero “uomo squadra”, e, per l’appunto, Fabio Casartelli.

Sulla squadra azzurra gravano dunque forti attese, pensando che, dopo i tanti piazzamenti a cavallo fra gli anni 70 e ’80, si possa finalmente assistere al successo di un italiano sul traguardo olimpico. Il clima di Barcellona è, come di consuetudine nell’estate catalana, davvero rovente, con temperature abbondantemente sopra i 30°. Ma la squadra italiana non si lascia certo intimorire dalla canicola, allenandosi con determinazione sulle strade della città e del Montjuïc, il promontorio sul quale sorge lo Stadio Olimpico Lluís Companys.Il grande giorno è domenica 2 agosto 1992: gli avversari sono tanti e ben organizzati, ma temono gli azzurri, in particolare Gualdi e Rebellin. In realtà, sin dai primi chilometri si capisce come sia il bergamasco che il veneto intendano coprire Casartelli, ritenuto il più in forma e il più adatto a brillare sul circuito catalano. La tattica degli italiani ha la meglio, facendo in modo che il giovane comasco, brillante passista-veloce, si ritrovi a giocarsi l’oro con altri due atleti: allo sprint non ce n’è per nessuno, tant’è che Fabio vince addirittura per distacco, con 1” sull’olandese Erik Dekker, destinato ad una grande carriera tra i professionisti, e 3” sul lettone Danis Ozols. Quarto, ma ad oltre 30”, il tedesco Erik Zabel, futuro Signor Sanremo.La gioia di Fabio è comprensibilmente incontenibile, con le braccia alzate al cielo anche sul podio, durante la premiazione, mentre suonano le note dell’Inno di Mameli. Al termine della cerimonia protocollare dichiara che Non sono molti i corridori italiani ad aver vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi nella corsa su strada. Io, adesso, entro in questo club di eletti. È una sensazione bellissima. Ho subito ripensato alla lunga trafila per arrivare a questo traguardo. E alla gioia che avevo regalato al mio paesino“.

Albese con Cassano, paese di 4.000 anime ai piedi delle Prealpi Comasche, aveva già dato i natali a Paolo Pedretti, oro nell’inseguimento a squadre a Los Angeles 1932. E sessant’anni dopo la magia si ripete. Tutti gli albesini scendono in strada a festeggiare il nuovo campione olimpico, scrivendo “Viva Fabio” a caratteri cubitali, chiaramente tricolori, sul muro della prima casa del paesello.
Lo straordinario risultato di Barcellona è il passaporto per passare nel mondo dei professionisti nel 1993. Casartelli viene ingaggiato dalla Ceramiche Ariostea, la squadra di Bjarne Riis, Davide Cassani e Giorgio Furlan, diretta da un uomo di grandissima esperienza come Giancarlo Ferretti.

Il passaggio in questo nuovo mondo comporta delle comprensibili difficoltà per tutti gli atleti, dovute al chilometraggio più ampio delle corse e ai ritmi intensissimi soprattutto nelle ultime fasi di gara. Tuttavia Fabio, con umiltà e dedizione, riesce ad emergere come un giovane competitivo e promettente, stimato dai compagni di squadra. Il 17 aprile vince la nona tappa della Settimana Bergamasca, corsa open, ovvero aperta sia ai professionisti che ai dilettanti.
La buona condizione dimostrata sulle strade lombarde si conferma qualche mese più tardi al Giro di Svizzera dove Fabio, fedele scudiero del compagno Marco Saligari vincitore della competizione, coglie tre piazzamenti importanti. Giunge infatti secondo nella prima tappa, alle spalle del belga Johan Musseuw, terzo a Baden nella seconda frazione, vinta da Giorgio Furlan, e nuovamente secondo nella quinta, preceduto solamente dal russo Viatcheslav Ekimov.
Il corridore di Albese affina gradualmente le sue doti di passista veloce, dunque in grado di districarsi con ottimi risultati anche negli sprint di gruppo, senza però rinunciare a mettersi al servizio dei più titolati capitani quando necessario. Nell’autunno dello stesso anno sposa Annalisa, una ragazza forlivese, dalla quale, il 13 maggio 1995, avrà il figlio Marco.

Per la stagione successiva Casartelli passa alla ZG Mobili-Selle Italia, squadra di attaccanti come Andrea Ferrigato e Fabiano Fontanelli. Quella che doveva essere l’annata della consacrazione si trasforma invece in un calvario, perché il ciclista comasco, ritirato al Tour de France, è alle prese con fastidiosi problemi al ginocchio che devono essere risolti tramite un intervento chirurgico, con la conseguenza di dover restare lontano dalla bicicletta per qualche mese.
Per cercare un pronto riscatto cambia nuovamente aria, accasandosi alla Motorola di un giovane Lance Armstrong. Secondo classificato a Wolkendorf nella prima tappa di una corsa minore austriaca, brilla anche alla Vuelta a Murcia, giungendo terzo a Cieza dove trionfa Adriano Baffi. Non disputa il Giro d’Italia per preparare al meglio il Tour de France. Nel mezzo il Giro di Svizzera, segnato da un terzo posto nella frazione terminata a Zug.

Fabio prende parte alla corsa francese con il solito, grande entusiasmo. E la sua attenzione è proiettata in particolare verso la terzultima tappa: 166 km da Montpon Monesterol a Limoges, traguardo ritenuto adattissimo alle sue caratteristiche. Purtroppo, il corridore comasco non arriverà mai nella città nota in tutta il mondo per le sue porcellane. Le prime frazioni di quel Tour filano via lisce, senza troppi sussulti, mentre le montagne alpine e le cronometro fanno emergere, come nei quattro anni precedenti, un unico padrone, il navarro Miguel Indurain. Casartelli è tranquillo. Si “nasconde” spesso nella pancia del gruppo, e aiuta i compagni di squadra, aspettando l’occasione giusta per dare la sua zampata.
Siamo alla quindicesima tappa, 18 luglio 1995, con traguardo a Cauterets, nel cuore delle vallate pirenaiche. Fa un caldo infernale, come accade tante volte quando la Grande Boucle affronta i Pirenei. Alle 11.45 la radio della corsa gracchia “Chute, chute!“, facendo capire che si tratta di una caduta più grave delle altre. Siamo nel pieno della discesa del Portet d’Aspet, valico dell’Alta Garonna affrontato con frequenza dai corridori del Tour. A terra, una decina di atleti:  il francese Dante Rezze è finito nella scarpata, tra gli alberi. Ma Fabio è immobile sul fianco destro, dopo aver sbattuto, ad oltre 80 km/h e senza casco a causa del caldo torrido, contro un paracarro in cemento, mentre un rivolo di sangue scende sulla carreggiata.
L’elisoccorso interviene prontamente, per trasportare lo sfortunato corridore all’ospedale di Tarbes, dove si reca con urgenza anche Massimo Testa, medico della Motorola. Durante il volo, il cuore di Fabio Casartelli si ferma per tre volte, venendo rianimato dai soccorittori. Ma nel reparto di rianimazione della clinica, poco dopo le 14, la sua vita si spegne.

Non si sarebbe salvato nemmeno col casco, afferma il medico della corsa dottor Nicollet, perchè le fratture facciali generate dal violentissimo impatto sono di una gravità estrema. Inutile accennare al vespaio di polemiche sulla sicurezza dei corridori in seguito a quella maledetta fatalità. Massimo Testa ha lo straziante compito di informare la famiglia, che aveva visto in televisione la caduta, ma che non poteva certo immaginare il drammatico epilogo. Nonostante la notizia si diffonda rapidamente, quel giorno la corsa va avanti come se nulla fosse, con i baci delle Miss e le abituali cerimonie di premiazione per Richard Virenque, vincitore della tappa, che afferma di non essere stato messo al corrente della notizia.
Il giorno dopo, la carovana si sposta verso Pau, classico traguardo della Grande Boucle. Ma non c’è corsa, non ci può essere corsa: i corridori, per sottolineare la loro solidarietà con la famiglia Casartelli, non si danno battaglia, e i ragazzi della Motorola, compagni di Fabio, tagliano il traguardo per primi uno a fianco all’altro, senza che venga stabilito l’ordine d’arrivo. Il 21 luglio, terzultima tappa, si arriva a Limoges, quel traguardo attorno al quale Casartelli aveva segnato un grande cerchio rosso: è Lance Armstrong che vince, suo compagno di squadra, alzando le braccia per indicare quel cielo dove ora riposa l’amico, tra la commozione generale.
Una stele in marmo bianco e grigio, adornata di fiori e biglietti posti dagli appassionati, è eretta nel punto dell’incidente, a perenne memoria della vicenda.
L’anno dopo, nella discesa del Marie Blanque, uno striscione appeso tra due alberi esprimerà, meglio di ogni altro, il ricordo dei tifosi per il sorridente ragazzo di Albese:

Fabio, on pense à toi

 

L’articolo originale è su www.sportvintage.it

foto tratta da cyclingarchives.com

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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