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Ciclismo
Le lacrime di Van Garderen, l’umanità di Froome
L’Alpe d’Huez racchiude in sé storia, emozioni, fatica, dolore, gioia: il tutto condensato in una serie di tornanti intitolati a ciascuno dei vincitori su questa montagna, da Fausto Coppi in poi, e circondato da centinaia di migliaia di tifosi che costituiscono una cornice impagabile e ineguagliabile. La doppia Alpe d’Huez di oggi ha raccontato altre storie, ha fatto vivere altre emozioni, ha fatto amare ancora di più il ciclismo.
La lotta per il successo di tappa è stata a tratti persino commovente. Da italiani, vedere un Moreno Moser transitare al comando sul primo passaggio ha riacceso alla mente i ricordi di Pantani, Conti, Guerini, Bugno: ma il giovane trentino non è certo uno scalatore e anzi va comunque elogiato per il terzo posto odierno. Da appassionati della bicicletta, poi, i chilometri finali sono stati quasi da leggenda: Tejay Van Garderen, talentuoso statunitense dall’illustre avvenire, aveva in pugno un successo. Se n’era andato sulle prime rampe della salita, esattamente come avvenuto sul passaggio precedente, dove poi aveva patito qualche difficoltà di troppo; e il copione si ripete. Christophe Riblon cede ma resiste, poi inizia ad avvicinarsi, il suo direttore sportivo e un pubblico in tripudio lo incitano sempre più e i secondi di svantaggio si assottigliano; a duemila metri dall’arrivo, riprende l’americano, lo supera e va a vincere nettamente. Un successo, peraltro, che l’Ag2r può leggere anche come una sorta di risarcimento per la devastante sfortuna patita ieri da Péraud, suo uomo di punta; le lacrime di gioia dell’esperto francese, le lacrime di disperazione di Van Garderen, la sensazione, per tutti, di aver assistito a una dimostrazione di sport toccante ed emozionante come non mai.
Ma questa giornata è stata significativa anche sul piano degli uomini di classifica: se è vero che Contador e Kreuziger hanno pagato una tattica finanche disperata, o perlomeno esagerata, è altrettanto vero che Chris Froome è sembrato umano. La maglia gialla ha patito la sua stessa superiorità, la sua stessa superbia: quella superbia che, nei primi chilometri della tappa, lo ha portato a chiudere personalmente su ogni scatto, piuttosto che a muoversi in prima persona sulle rampe dell’Alpe. Poi, all’improvviso, si è spenta la luce: una crisi di fame, alleviata solo da un Richie Porte davvero encomiabile, lo ha messo in netta difficoltà. Certo, il minuto perso nei confronti di Quintana e Rodríguez (più i 20” di penalità per rifornimento irregolare), scalatori purissimi che esaltano le folle, non lo priverà del gradino più alto del podio a Parigi, ma ha quantomeno dimostrato il suo essere uomo e non macchina, corridore e non robot, nonostante l’inarrivabile meticolosità nella preparazione del team Sky.
foto tratta da vielernieuws.be
marco.regazzoni@olimpiazzurra.com