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Ciclismo
Il ciclismo e la fuga degli sponsor
Che la pesantissima crisi finanziaria ed economica abbia intaccato anche il ciclismo è ormai un dato di fatto. A queste difficoltà, poi, si sono aggiunti i problemi di credibilità derivanti dai casi di doping, dei quali abbiamo ripetutamente parlato: come comprensibile risultato di queste contingenze, molti sponsor hanno abbandonato il mondo delle due ruote.
E’ notizia di oggi il commiato dell’Euskaltel Euskadi programmato per fine stagione: un marchio storico, simbolo di una regione e di un popolo, costretto a lasciare. Naviga in cattive acque anche la Vancasoleil, mentre la Saxo Bank di Bjarne Riis dovrà cercarsi un nuovo sponsor in grado di sostituire la Tinkoff, pena un forte ridimensionamento nell’organico. Negli ultimi anni, anche l’Italia ha subito una grave fuga di sponsor e team che hanno senz’altro contribuito all’impoverimento del nostro ciclismo: basti pensare alla miriade di squadre Professional e Continental che hanno chiuso i battenti nelle più recenti stagioni (su tutte, l’Acqua&Sapone), o al disimpegno della storica Liquigas che ha ceduto la licenza alla Cannondale, lasciando un unico team italiano-la Lampre, fortunatamente sempre brava a trovare nuovi partner-nel massimo circuito.
Come dicevamo nell’introduzione, sicuramente la crisi e i problemi di credibilità sono le ragioni più immediate per comprendere il fuggi-fuggi dal ciclismo: chiusure dolorose che, per inciso, spesso passano sotto silenzio perché non riguardano gruppi di primissima fascia, eppure caratterizzate sempre da decine e decine di persone che, da un giorno all’altro, si ritrovano senza lavoro, dai corridori, ai meccanici, ai massaggiatori. Ma forse c’è anche dell’altro: siamo sicuri che, in un momento così critico, l’UCI World Tour sia ancora la soluzione migliore? Gli sponsor investono nel ciclismo se e solo se possono avere una determinata visibilità; il World Tour, invece, riduce al minimo le possibilità di partecipazione alle più grandi gare per le squadre “minori”, e questo non rappresenta certo uno stimolo all’investimento. Senza contare che tantissime corse storiche-e ancora una volta il calendario italiano ne è il perfetto esempio-sono andate in difficoltà negli ultimi anni, proprio perché team e atleti principali hanno il diritto e soprattutto il dovere di partecipare solo alle più importanti manifestazioni, che portano visibilità, soldi e punti per i ranking internazionali (le stesse classifiche sono poi organizzate secondo criteri del tutto opinabili).
Non sarebbe dunque il caso di sfruttare la crisi economica, che si traduce in crisi del ciclismo, per un nuovo ripensamento di questo sport? Non si tratta solo di doping, non è più solo quello il problema delle due ruote. Bisogna tornare a facilitare gli investimenti in questo magnifico mondo, permettendo anche a realtà medio-piccole, come possono essere le attuali Professional o Continental, di avere maggiore visibilità a livello internazionale, di poter disputare anche le corse più prestigiose. Non tutti hanno i capitali della Sky, o del governo kazako, o di qualche multinazionale svizzera o americana. Anche perché, è un dato di fatto, molto spesso i team World Tour si presentano con organici del tutto rimaneggiati in parecchi eventi del calendario internazionale, senza onorare, di fatto, il loro impegno. Bisogna dare spazio a chi vuole fare del vero ciclismo, anche se non dispone delle risorse di un colosso internazionale.
foto Bettini
marco.regazzoni@olimpiazzurra.com