Formula 1
F1, Piloti immortali: Niki Lauda, l’uomo che vide l’Inferno e poi tornò sovrano
Ci ha lasciati il 20 maggio del 2019, a 70 anni, 43 anni dopo essere scappato dalla morte per la prima volta. Andreas Nikolaus Lauda, conosciuto come Niki, è passato alla storia per aver vinto tre Mondiali di Formula 1 (1975-1977-1984) con 25 successi e più del doppio di podi, ma resterà nella memoria di tutti come l’uomo intrappolato in un abitacolo di fuoco. Il fattaccio è accaduto in occasione del celebre Gran Premio di Germania, il 1° agosto 1976 sul circuito del Nürburgring. Un errore come tanti, un cordolo aggredito troppo. L’impatto violentissimo e la sua Ferrari che prende fuoco con l’austriaco inerme immobilizzato al suo interno. Il caos. Dopo oltre un minuto in mezzo alle fiamme il suo corpo fu finalmente rimosso grazie anche al coraggio del nostro Arturo Merzario, che ha rischiato la propria vita per dare una seconda chance all’asso della Rossa campione del mondo in carica.
Gli aneddoti e le particolarità di quell’episodio sono davvero infiniti. Già parecchie volte si era discusso della pericolosità dell‘iconico tracciato del Nordschleife prima di quella gara tra i piloti, in quanto l’estrema lunghezza (oltre 20km) non permetteva ai commissari di essere adeguatamente presenti in tutte le zone del percorso. Pochi giorni prima del weekend lo stesso Lauda aveva curiosamente dichiarato “se fai un incidente grave su questo circuito sei un uomo morto al 100%“. E dopo che il mondo ebbe visione di quelle terribili immagini tutti pensavano avesse avuto tristemente ragione. Naturalmente quell’episodio decretò la fine del rapporto tra la Formula 1 e il Nordschleife, il cui contratto scadeva comunque alla fine di quella stagione e non venne più rinnovato. Ma era troppo tardi, Lauda sopravvisse con gravissime ustioni sulla parte destra del viso, totalmente sfigurato e per questo coperto dal celebre cappellino rosso che tutti hanno poi imparato ad amare.
Niki Lauda è stato naturalmente, e come anticipato, molto di più dell’ uomo intrappolato nell’abitacolo di fuoco. Il nativo di Vienna è stato una delle prime icone a tutto tondo della nuova Formula 1 e uno dei piloti alla quale la Scuderia Ferrari è da sempre più legata. Lauda non era solamente un genio del volante ma anche un mostro di intelligenza, applicata perfettamente nel proprio lavoro per permettergli di diventare un ingegnere, stratega e meccanico di primissimo livello, punto di rifermento per tutti all’interno del team in qualsiasi senso. Prima di Alain Prost, il primo “Professore” della storia è stato proprio lui, e a chi osava prenderlo in giro per il volto sfigurato lui rispondeva con la sua citazione più celebre, immortale per ogni appassionato di sport: “Preferisco avere ancora il mio piede destro piuttosto che un bel viso“. E tutti muti.
Dopo aver dominato il Campionato 1975, l’incidente dell’anno seguente avrebbe fermato chiunque. Chiunque ma non lui, che sorprendendo il mondo intero sei settimane dopo si presentò al via del Gran Premio d’Italia a Monza, pieno di bende e fasciature sul volto e i polmoni ancora gravemente compromessi dal fumo respirato nell’incidente. E terminò quella corsa in quarta posizione. Avendo mancato solamente due appuntamenti nella sua assenza, il vantaggio accumulato nella precedente fase sul rivale di sempre, il britannico James Hunt e la sua McLaren, fu sufficiente per permettergli di giungere all’ultimo Gran Premio con ancora tre punti di margine. In Giappone quella domenica pioveva a dirotto, tanti piloti si chiesero se fosse il caso di correre o di annullare l’evento, ma alla fine si decise di partire. Lauda, memore di quanto accaduto e con una forza di volontà immensa, decise al secondo giro di rientrare ai box e ritirarsi, rinunciando di fatto a vincere uno dei Mondiali più incredibili della storia della Formula 1. Una scelta controversa, piccolo capitolo della rivalità con l’alter ego Hunt che è stata poi ricordata in una delle trasposizioni cinematografiche sportive più belle di sempre, il film “Rush” del 2013, egregiamente diretto da Ron Howard.
Nel 1977 Lauda vinse il secondo Mondiale con la Rossa, salvo poi separare il suo cammino dalla sua storica compagna per dei contrasti inevitabili tra due personalità di spicco come la sua e quella di Enzo Ferrari. Gli anni alla Brabham non furono certo memorabili ma l’austriaco seppe rialzare nuovamente la testa e tornare alla ribalta nel 1984 al volante della McLaren, dove militava da qualche anno e fu incaricato di formare proprio quell’Alain Prost che, se possibile, riprese ed esaltò ancora più all’estremo le sue caratteristiche. La battaglia casalinga tra i due, su una vettura dominante, si dilungò per tutto l’anno e alla fine la vecchia volpe riuscì a portarsi a casa il terzo e ultimo titolo per mezzo punto, naturalmente il distacco minore mai registrato nella storia.
Lasciato il ruolo da pilota, nell’ambito della F1 ha lavorato negli anni novanta come consulente in Ferrari e poi anche come team principal nell’ambizioso progetto Jaguar, che ebbe però vita breve. In anni più recenti è tornato ad avere una posizione di assoluto rilievo grazie al ruolo di presidente onorario della Mercedes Mortorsport, sapendo indirizzare ottimamente la scuderia che poi è diventata la dominatrice assoluta dell’era ibrida. L’ultima magia è stata quella di accogliere a Brackley il britannico Lewis Hamilton, con il quale ha sempre avuto un rapporto particolare sotto ogni aspetto, senza dubbio contribuendo in modo significativo a trasformare un ottimo pilota nel fuoriclasse che è attualmente. Forse a volte un po’ troppo arrogante e pieno di sé, ma questo era Niki Lauda, prendere o lasciare, e alla fine la sua estrema onestà gli ha permesso di diventare un’icona rispettata da tutti nel paddock e un uomo di cui si sente ancora oggi la mancanza.
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Foto: cristiano barni / Shutterstock.com